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Il rapporto tra il procedimento penale e quello disciplinare è sempre particolarmente complesso in quanto, prevede degli obblighi in capo all’Amministrazione di recepire i provvedi-menti dell’Autorità Giudiziaria affinché si adottino provvedimenti sanzionatori e/o di natura cautelare in sede disciplinare, e viceversa, degli obblighi in capo all’A.G. di comunicare all’Amministrazione l’esistenza del procedimento penale sia nella sua fase iniziale che in quella conclusiva. Anche l’applicazione della (...)
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Sospensione Cautelare dal servizio evidenzia bene l’interconnessione tra i due mondi che molto spesso, viene sottoposta al vaglio del giudice di legittimità.
In particolare, ci soffermeremo sulla misura cautelare prevista dall’articolo 9 del DPR 737/81 (Regolamento di disciplina). Una norma, ormai datata, che deve adattarsi ai nuovi istituti giuridici di natura cautelare introdotti dal codice di procedura penale entrato in vigore otto anni dopo la sua emanazione.
Per prima cosa è bene precisare che la sospensione cautelare è un provvedimento di natura precauzionale, con cui un appartenente alla Polizia di Stato viene allontanato dal servizio, obbligatoriamente o facoltativamente, a seguito di procedimenti penali in corso.
Non assume un carattere sanzionatorio ed è finalizzato ad evitare, nei casi di necessità e urgenza, che un dipendente sottoposto a procedimento penale per un illecito di particolare gravità continui a prestare servizio con pregiudizio per la regolarità del funzionamento dell’ufficio e per il prestigio dell’Amministrazione.
A tal proposito è prevista la
- Sospensione cautelare obbligatoria in pendenza di procedimento penale (articolo 9 comma 1 del Regolamento di disciplina) applicabile con automatismo al verificarsi di presupposti di legge;
- Sospensione cautelare facoltativa connessa a procedimento penale (articolo 9 comma 2 del Regolamento di disciplina) applicabile, in casi particolari e urgenti, nell’ambito di un ampio potere discrezionale di natura cautelare
Sospensione obbligatoria connessa a procedimento penale: prevista dal 1° comma dell’art.9 D.P.R. 737/81 impone all’Amministrazione di sospendere (“deve essere sospeso”) dal servizio “l’appartenente ai ruoli dell’Amministrazione della pubblica sicurezza colto da ordine o mandato di cattura o che si trovi, comunque, in stato di carcerazione preventiva”. Il provvedimento è adottato dal “Capo dell’Ufficio dal quale l’arrestato gerarchicamente dipende che deve altresì, riferire immediatamente alla direzione centrale del personale presso il dipartimento della pubblica sicurezza”. In considerazione delle nuove ipotesi custodiali previste dal c.p.p. e delle altre misure interdittive o comunque limitative della libertà personale è possibile stabilire che le misure che rendono obbligatoria la sospensione sono tutte quelle che impediscono la regolarità del rapporto di lavoro: gli arresti domiciliari (art. 284 c.p.p.), la custodia cautelare in carcere (art. 285 c.p.p.), custodia cautelare attenuata (art 285 bis c.p.p.), custodia cautelare in luogo di cura (art. 286 c.p.p.), sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio (art. 289 c.p.p). Sulle misure invece del divieto/obbligo di dimora (art. 283 c.p.p.) e dell’Obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria (art. 282 c.p.p.) la giurisprudenza sembra concorde nel valutare caso per caso, in quanto misure teoricamente compatibile con attività lavorativa.
Sospensione facoltativa connessa a procedimento penale: prevista dal 2° comma dell’art.9 D.P.R. 737/81 consente all’Amministrazione di sospendere cautelarmente dal servizio il dipendente che sia sottoposto a procedimento penale. La norma recita: “Fuori dai casi previsti nel comma precedente, l’appartenente ai ruoli dell’Amministrazione della pubblica sicurezza sottoposto a procedimento penale, quando la natura del reato sia particolarmente grave, può essere sospeso dal sevizio, con provvedimento del Ministro su rapporto del capo dell’Ufficio dal quale dipende”. Tale provvedimento ha carattere facoltativo e discrezionale ed è di competenza del Capo della Polizia su rapporto motivato del capo dell’ufficio dal quale dipende. Può essere adottato, “può essere sospeso dal servizio”, quando la natura del reato sia particolarmente grave. È pertanto necessario che siano contemporaneamente presenti i seguenti requisiti: un rilevante nocumento agli interessi e al prestigio della P.A., un reato di particolare gravità, valutabile caso per caso, e il fatto che il dipendente sia sottoposto a procedimento penale (nb: rinviato a giudizio).
Sulla revoca dei provvedimenti non esiste in automatismo sia nel caso dell’applicazione della misura obbligatoria che di quella facoltativa. Entrambe, infatti, richiedono una valutazione sulle esigenze cautelari che ne potrebbero sconsigliare il rientro in servizio.
A tal proposito il comma 3 dell’articolo 9 attribuisce all’Amministrazione il potere discrezionale di revocare la misura: “la sospensione cautelare può essere revocata” “ove le circostanze lo consiglino”.
Prima di approfondire il contenuto di due sentenze della giustizia amministrativa proprio in relazione ai due istituti è bene ribadire che l’applicazione del Regolamento di disciplina viene sottoposto al vaglio del giudice amministrativo quando il dipendente ritiene che il provvedimento sanzionatorio preso nei suoi confronti non abbia rispettato il dettato normativo (violazione di norme) e/o presenti dei vizi di legittimità (eccesso di potere e le relative figure sintomatiche).
Giurisprudenza (due recenti sentenze)
(Sospensione obbligatoria) Nella sentenza del TAR n. 03293/2024 del TAR per la Sicilia del 13 novembre 2024, pubblicata il 29 novembre 2024, troviamo alcuni chiarimenti giurisprudenziali sull’organo competente ad emanare il provvedimento, sull’obbligatorietà dello stesso e sul corretto iter procedimentale da adottare per applicarlo.
Nel caso specifico il Tribunale Amministrativo Regionale della Sicilia, in merito all’applicazione della sospensione obbligatoria ex articolo 9 comma 1 dpr 737, decideva sul ricorso presentato da un dipendente che era stato raggiunto da un provvedimento di fermo ex art. 384 c.p.p. dall’A.G. nell’ambito di un p.p. pendente per il quale era stato indagato per i reati di cui agli artt. 110, 61, 615 ter e 326 c.p. e poi, sottoposto agli arresti domiciliari e alla misura dell’Obbligo di dimora.
La sentenza chiariva l’infondatezza del ricorso in quanto:
- in merito alla lamentata incompetenza da parte del ricorrente dell’organo che aveva emanato il provvedimento, stabiliva l’infondatezza della doglianza perché, come viene precisato dall’art.9 commi 1 del d.P.R. 737/1981, l’appartenente ai ruoli dell'Amministrazione della pubblica sicurezza, colto da ordine o mandato di cattura o che si trovi, comunque, in stato di carcerazione preventiva, deve essere sospeso dal servizio con provvedimento del capo dell'ufficio dal quale gerarchicamente dipende. Nel caso specifico il Questore della provincia di Agrigento aveva correttamente adottato il provvedimento in quanto titolare del potere di sospensione poiché era organo da cui il commissariato di ps presso il quale il dipendente prestava servizio, dipendeva gerarchicamente;
- in merito all’obbligatorietà del provvedimento cautelare anche in assenza di “carcerazione preventiva” , il tribunale stabiliva che non era condivisibile l’assunto del ricorrente secondo cui soltanto la carcerazione preventiva sarebbe stata misura cautelare impeditiva della prestazione lavorativa, in quanto anche l’obbligo di dimora a cui veniva sottoposto risultava vincolante e non consentiva al dipendente di recarsi quotidianamente da Agrigento, suo luogo di residenza/dimora, a Canicattì, luogo di lavoro;
- in merito alla carenza istruttoria lamentata dal dipendente, per non essere stati rispettate le garanzie difensive previste dalla legge 241/90 e dalla carta costituzionale, il tribunale precisava che il provvedimento di sospensione precauzionale dall’impiego era una misura cautelare (e non disciplinare) e pertanto non era richiesta la comunicazione di avvio del relativo procedimento. Infatti, mentre nelle ipotesi di instaurazione di un procedimento disciplinare al dipendente interessato deve essere data comunicazione dell'avvio del procedimento per consentire allo stesso, non solo di conoscere i relativi atti, ma altresì di svolgere adeguatamente le proprie difese, al contrario, quando l'instaurazione del procedimento è finalizzata all'adozione di un provvedimento di natura cautelare, consistente nella sospensione dal servizio del dipendente assoggettato ad un procedimento penale per un determinato titolo di reato, la partecipazione di questi al procedimento de quo non potrebbe comunque apportare alcun elemento nuovo. Per cui, in questo caso, le esigenze di celerità e tempestività con cui occorreva allontanare il ricorrente dal posto di lavoro imponevano di intervenire con urgenza, dispensando l'Amministrazione dal procedere alla previa comunicazione dell'avvio del procedimento di sospensione.
(Sospensione facoltativa) in merito all’applicazione della sospensione facoltativa ex articolo 9 comma 2 DPR 737, risulta interessante la sentenza n. 266/2025 del TAR – Sezione Prima - per l’Emilia Romagna del 17 marzo 2025, nel quale il tribunale decideva sul ricorso presentato avverso un provvedimento emanato nei confronti di un dipendente per il quale era stato chiesto il rinvio a giudizio in relazione agli artt. 477 (falso in atto pubblico), 495 (falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri), 56 e 640 comma 2 (tentata truffa) del Codice Penale.
In questa sentenza troviamo alcuni chiarimenti sulla natura del provvedimento, sulle motivazioni che devono accompagnarlo e sul corretto iter procedimentale da adottare per applicarlo.
In questo caso la sentenza chiariva l’infondatezza del ricorso in quanto
- come evidenziato nella sentenza del Consiglio di Stato, sez. II, 11 aprile 2022, n. 2665, l’istituto della sospensione cautelare “non ha natura sanzionatoria, ma si configura come un rimedio provvisorio di natura cautelare posto a tutela del superiore interesse pubblico dell’amministrazione militare, il cui perseguimento risulta pregiudicato dalla permanenza in servizio del dipendente a cui sono stati contestati fatti penalmente rilevanti e di notevole gravità (come è avvenuto nel caso di specie)”. Si trattava, precisava il tribunale, di una misura squisitamente cautelare, priva di risvolti sanzionatori e di limitata durata temporale.
- risultava legittima l’omissione, contestata dal ricorrente, della comunicazione dell’avvio del procedimento (in tal senso cfr. anche la sentenza del TAR Milano n. 2055/2023), di cui alla legge 241/90, nonché il mancato svolgimento di una particolare istruttoria, essendo l’adozione del provvedimento subordinata solo all’espressione del giudizio di opportunità della sospensione rispetto alla necessità di preservare il buon andamento e il prestigio dell’amministrazione a fronte della commissione di un fatto penalmente rilevante di particolare gravità.
- diversamente da quanto prospettato dalla tesi difensiva, il reato contestato in sede di rinvio a giudizio era di particolare gravità e, pur non essendo attinente al servizio svolto, risultava assolutamente incompatibile con il mantenimento dello status di agente della Polizia di Stato, considerate le indubbie ricadute negative di tale comportamento sul prestigio dell’Amministrazione e sull’affidabilità e integrità dello stesso appartenente alla Polizia, atteso che esso si poneva in evidente contrasto con i principi di moralità e di rettitudine che devono improntare l’agire di un agente della P.S., con i doveri attinenti al giuramento prestato e con gli obblighi di correttezza ed esemplarità propri dello status di agente appartenente alla Polizia di Stato.
Per un ulteriore approfondimento o studio si rimanda alla lettura delle due Sentenze qui di seguito integralmente riportate. (...)
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