Corte Costituzionale: tenuità giuridica, amputazioni civili
Sulla carta è tenue. Nella bara e sulla pelle no. C’è una giustizia che pesa col bilancino e una violenza che colpisce col morso. La teoria dice lieve entità. La realtà risponde con la falange amputata. Ad Ascoli Piceno una poliziotta si è vista staccare una falange a morsi da un fermato, ma poi viene riconosciuto il vizio di mente, mandato in REMS-residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza, niente carcere. (...)
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A Trieste due giovanissimi poliziotti, ribattezzati i figli delle stelle, furono uccisi in Questura, anche lì infermità mentale ma niente carcere. Intanto, in altre aule, lo sputo e la violenza contro un agente possono scivolare nel recinto della tenuità del fatto. La scala dei valori è chiara, tra chi prende schiaffi, morsi, proiettili e chi li giudica, il sistema trova lieve il gesto e grave, semmai, doversene occupare. Basti ricordare il caso Shalabayeva, un’espulsione ritenuta illegittima, nonostante il nulla osta della Procura della Repubblica, pagata con condanne simboliche ma pesanti e con la rapida rimozione storica della statura etico-professionale dei protagonisti.
Tenuità, una categoria morale
I dirigenti della Polizia di Stato, Renato Cortese, Maurizio Improta e Luca Armeni i più noti, divenuti per l’opinione pubblica il volto espiatorio di un’operazione che non produsse né sangue né bare. Lì lo Stato si è giudicato severo senza aver ferito corpi. Qui, davanti a chi perde una falange o una vita, la tenuità rischia di diventare una categoria morale della giustizia. Carlo Rosselli ricordava che la giustizia si difende guardando in faccia la realtà. E nella realtà la tenuità non ricuce dita, non riscrive diagnosi, non consola famiglie e colleghi in lutto. Non è corporativismo, è aritmetica civile.
Chi garantisce la sicurezza non può essere la variabile di scarto dell’equazione democratica della giustizia. Provate a immaginare lo stesso morso o la volgarità dello sputo rivolti a un magistrato in udienza, qualcuno oserebbe parlare di lieve entità? Piero Calamandrei affermava che una giustizia che non riconosce chi non ha voce diventa un simulacro. Oggi quella voce zittita porta spesso una divisa, non per scelta di ceto ma per invisibilità civica, sociale e politica. Tenue è la parola. Incandescente è la scena. Tra chi interpreta e chi sanguina, la distanza che emerge non è più giuridica, è umana. E lì, purtroppo, non c’è vizio di mente che tenga.

