EDITORIALE : I POLIZIOTTI E LA VIOLENZA DI PIAZZA

EDITORIALE : I POLIZIOTTI E LA VIOLENZA DI PIAZZA

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che, troppo spesso, non ricordano di esserlo e nonostante tutto, gestiamo le piazze calde e violente, sarebbe il caso di analizzare i dati statistici e compararli, per valutare riscontri alla mano se i poliziotti fanno così male il proprio mestiere. Abbiamo apprezzato il coraggio del Ministro dell’Interno che ha preso pubblicamente una posizione netta e chiara, diversamente dai suoi predecessori, schierandosi dalla parte dei poliziotti. Di noi bisogna fidarsi, perché siamo parte dello Stato e la polemica su cosa siamo e come operiamo quando alcuni di noi commettono errori, ci pare francamente sterile, impregnata di una visione ideologica antiquata che a nulla serve. Nell’era post ideologica siamo ancora al giudizio sulla “polizia fascista” che, con la forza governa manifestazioni che hanno altra estra-zione culturale e politica. Con quanta facilità è stata dimenticata dai più la lezione di Bobbio che, nell’elaborazione della sua filosofia, chiedeva di superare le categorie ideologiche del secolo scorso, io affermo, specie le più radicali, i convincimenti ideologici non sono utili al cambiamento proprio perchè acriticamente di parte. Si ha la chiara impressione, che alcuni ambienti e commentatori non vogliono storicizzare quello che appartiene al passato, come affermava il compianto Beppe Davanzo nei suoi scritti più illuminanti su temi analoghi ma più complessi e dolorosi. Siamo cambiati anche noi vorrei dire a qualche opinionista, e quando c’è uno di noi che si comporta in maniera superficiale o eccede, non si deve strumentalmente generalizzare, definendo i poliziotti dei bruti picchiatori antidemocratici, mi dispiace ma non ci stiamo alla sottolineatura elitista di chi vuole bollare Polizia e poliziotti come anti-democratici. Il tentativo di ricostruire un clima di rinnovata laica inquisizione contro le forze dell’ordine, secondo l’assioma “uno così, tutti così” pare la rilettura del sillogismo aristotelico male interpretato e male applicato . Eppure quando qualche furbetto che rappresenta lo Stato ha rubato, tradendo il popolo che rappresenta, o qualche magistrato ogni tanto sbaglia, non mi pare che si butti a mare il bambino e l’ acqua sporca, anzi stanno tutti attenti a fare i distinguo… o no ? La Polizia è parte dello Stato, al servizio dei cittadini e delle istituzioni, tutela tutti, compreso chi rappresenta e governa il Paese, proprio perche eletto con il voto in una cornice di regole democratiche. I processi della rappresentanza legale e politica sono e devono essere garantiti e tutelati dalle forze di polizia, anche quando sono violentemen-te aggrediti da manifestazioni violente e armate, cosa che noi, quotidianamente e in silenzio, al di là di qualsiasi interferenza ideologica garantiamo. Sia ben chiaro a tutti, noi in piazza non facciamo distingui ideologici rispetto a chi manifesta, ma gestiamo l’ordine pubblico, garantendo la sicurezza dei cittadini, delle città e delle istituzioni, punto e basta. Chi pensa, che i motivi d’insoddisfazione che serpeggiano fra le forze di polizia siano esclusivamente di natura economica sbaglia. Verissimo che i poliziotti a tutti i livelli di responsabilità sono sottopagati, anche rispetto ai colleghi europei che, va detto, non hanno gli stessi carichi di lavoro e non corrono gli stessi rischi dei poliziotti italiani, in quanto vivono situazioni di ordine pubblico e di contrasto al crimine meno incandescenti delle nostre. La frustrante condizione economica non può essere artatamente usata nel dibattito pubblico e mediatico come spiegazione rispetto all’uso della forza da parte dei poliziotti, questo atteggiamento oltre che strumentale, va in soccorso di un certo filone del dibattito pubblico e politico a cui gli operatori di polizia sono del tutto estranei, e direi persino inconsapevoli, come accaduto per i fatti di Roma. I poliziotti sono cittadini e persone, non altro. Le polemiche su quanto accaduto nelle recenti manifestazioni vanificano il risultato, positivo e complessivo della gestione dell’ordine pubblico e il lavoro silenzioso e corretto di migliaia di poliziotti e di tutte le forze dell’ordine più in generale. Le opinioni critiche e aspre su errori puntual-mente evidenziati da un fotogramma, contribuiscono ad alimentare una progressiva perdita dell’ identi-tà professionale delle forze di polizia di cui ci si lamenta da tempo, ma purtroppo poi, nei momenti opportuni non se lo ricorda nessuno. Anche noi chiediamo una riforma delle regole di ingaggio e dell’organizzazione delle forze di polizia, come accade a tutte le categorie di lavoratori, proprio per poter costruire sul piano metodologico un’alternativa migliore rispetto all’attuale modello organizzativo, che, certamente, va rinnovato e adeguato alle mutate esigenze di una società globale e multirazziale. Lottiamo per migliorare le condizioni di lavoro dei poliziotti, lottiamo per ottenere nuovi equipaggia-menti e nuovi modelli di gestione della piazza, lottiamo per una retribuzione adeguata ai rischi che corriamo e alla professionalità che ci viene da tutti richiesta. La polemica dell’identificativo sul casco non aiuta a risolvere i fenomeni della violenza organizzata di piazza o delle tifoserie negli stati, lo dimostrano alcune esperienze straniere ove il codice identificativo è già in uso. Nel caso italiano tale soluzione dal cui confronto non intendiamo sottrarci, andrebbe accompagnata da istallazione di micro telecamere su caschi e pettorine, ma anche da più efficaci e stringenti tutele giuridiche e legali, oltre che da pene più severe per chi aggredisce i poliziotti. La polizia lo abbiamo dimostrato, nelle indagini disciplinari interne è in grado di individuare chi eccede, i poliziotti che prestano servizio non sono un gruppo di anonimi “picchiatori” travisati da un casco sulla testa, e chi ha commesso l’errore si è presentato spontaneamente, non ha atteso di essere identificato e questo è il segno di una polizia che ha la capacità, il coraggio e la forza di guardare dentro se stessa, anche rispetto alle condotte dei singoli operatori. Ma ciò nonostante si ha sempre l’impressione, che parte dei media e gli analisti più critici vogliano delegittimare i poteri dello Stato, con il rischio concreto che tale atteggiamento legittimi una piazza violenta, facendo entrare i poliziotti nella logica dello schieramento politico- ideologico. Mi chiedo se i professionisti della critica negativa, conoscono lo stato d’animo e le difficoltà dei poliziotti che devono fronteggiare la violenza organizzata della piazza, lì in quel momento. Allora io penso che i commentatori dovrebbero sforzarsi di comprendere le ragioni di chi sta dentro le cose e le loro difficoltà, evitando i facili e a tratti superficiali giudizi che li portano sempre a schierarsi dalla parte dei “manifestanti violenti”, tanto loro i ben pensanti, in quei momenti difficili per qualsiasi uomo, stanno tranquilli a casa davanti alla TV. Quest’atteggiamento è il retaggio di una cultura e di un mondo ormai superato, perlomeno me lo auguro, spero che non ritorni a ogni scontro provocato dalle piazze calde. Nessuno ha ma inteso vietare o reprimere la libertà democratica di esprimere il proprio dissenso, ma va espresso nel rispetto della legge, delle cose, delle persone, dei poliziotti, in sintesi rispettando le libertà e il lavoro degli altri. Aberrante ascoltare affermazioni del tipo “i manifestanti sono travisati come i poliziotti”, che equivale ad affermare che i chirurghi in sala operatoria sono travisati. Le analisi pubblicate sui giornali e sui blog, su questo tema, sono spesso poco aderenti alla realtà dei fatti che vanno analizzati nella loro complessità, invece si concentra sempre ed esclusivamente l’attenzione sull’errore del poliziotto. Con amarezza noto, e lo affermo senza remore, che si stenta a superare una impostazione culturale che non esito a definire reazionaria, sul piano politico e sociale nei confronti della polizia e dei poliziotti, tranne poi esaltarli in altri momenti e contesti, è il caso dei temi sulla legalità, vorrei capire come funziona, due pesi e due misure. Chiedere a loro ai soliti ben pensanti, chi ha il compito di ripristinare la legalità violata, a chi compete tale onere? Alimentando questo tipo di clima si rischia di impoverire un’identità professionale e la mission istituzionale, che è al servizio di tutti i cittadini e dello Stato contro tutte le forme di violenza, anche quella della piazza e delle manifestazioni sportive. Quanto agli immancabili richiami ai fatti del G8 di Genova, il cui fantasma aleggia ogni volta che ci sono tensioni nelle manifestazioni, penso che tutti insieme si debba una volta per tutte, consegnare alla storia e senza dimenticare quegli eventi e gli errori che furono commessi, considerato che, la giustizia ha sigillato nelle sentenze la verità processuale di quei giorni bui e difficili per tutti i poliziotti e non solo per chi manifestava. Sono intimamente convinto che richiamare l’eccezionalità delle misure che furono adottate in quell’occasione, per condannare la condotta dei poliziotti di oggi, non contribuisca a rafforzare il sentimento di fiducia che i cittadini, ma soprattutto i giovani, dovrebbero avere verso lo Stato e le sue articolazioni più complesse e delicate come la Polizia di Stato.
Roma, 18 aprile 2014
Il Segretario Generale S.I.A.P.
Giuseppe Tiani