Caso Aldrovandi

Caso Aldrovandi

Bergamo, 3 aprile 2013

Vorrei

Vorrei non essere chiamato fascista perché indosso un uniforme e vorrei che nemmeno uno tra i miei colleghi godesse quando accusano la polizia di essere fascista.
Vorrei che gli italiani mi salutassero prima di chiedermi ciò di cui hanno bisogno e vorrei che i miei colleghi salutassero anche gli italiani che non lo fanno.
Vorrei che i genitori italiani che non sanno come contenere i loro figli piccoli non m’indicassero come un castigatore quando mi vedono perché vorrei che anche i bambini italiani facessero ciò che fece quella volta una piccola bambina inglese: si smarrì tra la folla, non si spaventò, mi vide, mi prese per mano: riconobbe nell’uniforme un simbolo, un porto sicuro, le avevano insegnato che lì poteva trovare aiuto per ogni cosa.
Vorrei che gli italiani facessero come gli inglesi (e gli scandinavi) che non ti danno il tempo di salutarli: lo fanno prima loro.
Vorrei che i poliziotti italiani provassero a fare meglio dei loro concittadini: l’esempio è la prima e la migliore forma d’insegnamento.
Vorrei che l’educazione si coniugasse con una cittadinanza finalmente matura.
Vorrei che chi ci governa capisse che il mondo si muove e in tutto il mondo civile la polizia usa strumenti più efficaci dello sfollagente per contenere pazzi, esagitati, delinquenti.
Vorrei che ogni tanto i media cercassero di capire anziché rincorrere il sensazionalismo: un ragazzo ucciso colpevolmente, ma non volontariamente, da quattro poliziotti è una cosa che non deve ripetersi mai più. Cercare di capire cos’è successo non lo riporterà in vita ma dev’essere un dovere per chi svolge un ruolo socialmente attivo. Tocca ai politici, ai giornalisti, ai poliziotti, agli educatori, interrogarsi e agire. Noi sindacalisti non ci nascondiamo, magari sbagliando, perché siamo da trent’anni un fondamentale elemento di democrazia interno ad un’organizzazione gerarchica come la polizia.
Vorrei che l’Italia potesse finalmente scrivere la parola “storia” sulla locuzione “polizia fascista”. Dal 1946 l’Italia è una repubblica e non c’è spazio per recrudescenze di tale natura. Prima di tutto per quelle reali. Ma nemmeno per quelle che derivano da un livore ingiustificato verso tante donne e tanti uomini che fanno solo il loro lavoro cercando di farlo il meglio che possono nonostante le tante difficoltà che incontrano.