Pensioni: nessuna novità in vista  ma il SIAP continuerà a vigilare a tutela dei diritti di specificità previdenziale dei poliziotti

Pensioni: nessuna novità in vista ma il SIAP continuerà a vigilare a tutela dei diritti di specificità previdenziale dei poliziotti

Come si evince dell’articolo allegato, il Governo, almeno sino al 2026, non sarebbe intenzionato a mettere mano al delicatissimo argomento della previdenza. Pertanto per il Comparto Sicurezza tutto resterà invariato sia per le pensioni di vecchiaia che per quelle di anzianità. (...)

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Naturalmente il SIAP continuerà a vigilare costantemente a tutela dei diritti di specificità previdenziale dei poliziotti, fronte sul quale il nostro sindacato si confronta quotidianamente anche per risolvere gli inaccettabili ritardi sulla corresponsione del TFS agli aventi diritto e sulla mancata applicazione della sentenza del Consiglio di Stato che riconosce il diritto a percepire i 6 scatti sul TFS anche alle pensioni di anzianità a coloro che vanno in quiescenza con 55 anni di età e 35 di anzianità di servizio. (fonte: PAmagazine.it)

Il governo rinuncia (per ora) alla riforma delle pensioni. Le modifiche alla legge Fornero slittano al 2025

E anche il prossimo anno la riforma delle pensioni si farà l’anno successivo. Il proposito del governo di mettere mano al sistema previdenziale, nel 2025, modificando la legge Fornero e concedendo uscite anticipate dal lavoro (tradizionale promessa mai mantenuta dalla Lega), sbatte la testa contro la dura realtà dei conti pubblici. E quindi, se tutto andrà bene, se ne riparlerà nel 2026. «La spesa per prestazioni sociali in denaro è attesa aumentare del 5,3 per cento nel 2024 e del 2,5 per cento in media all’anno nel triennio 2025-2027, con un aumento della spesa per pensioni del 5,8 per cento nel 2024 e del 2,9 per cento in media nel successivo triennio», si legge nel Def, il Documento di economia e finanza. Come a dire che, piuttosto che pensare a favorire l’esodo da uffici e fabbriche, si dovrebbe tentare di trattenere le persone al lavoro.

Tutto fermo

Con il Documento di economia a finanza sembrano insomma tramontare tutte le ipotesi ventilate dalla maggioranza in questi mesi. Niente Quota 41 (in pensione con quel numero di contributi a prescindere dall’età anagrafica) soprattutto. E al massimo ci sarà l’ennesima proroga di Quota 103 (uscita con tagli sugli assegni raggiungendo quella somma di contributi ed età). I numeri previdenziali non concedono alcun margine in quanto i pensionati sono tornati a crescere lievemente nel 2023 a quota 16,13 milioni (tanto che dati Inps indicano una spesa di 248 miliardi in crescita di ben 17 rispetto all’anno precedente), ma gli occupati aumentano più rapidamente sfiorando i 23,3 milioni (oltre 400mila in più in un anno) facendo salire così il rapporto tra le due grandezze a 1,44. Tuttavia, le proiezioni dicono che nel 2050 questo rapporto sarà di un 1 contro 1. Un dato insostenibile per poter garantire il pagamento delle pensioni, soprattutto perché i giovani che entrano oggi nel mercato del lavoro hanno carriere discontinue e salari bassi.

“Ad oggi – si legge nel rapporto dell’Osservatorio Itinerari previdenziali, diretto da Alberto Brambilla – il sistema è sostenibile e lo sarà anche tra 10-15 anni, nel 2035/40, quando la maggior parte dei baby boomer nati dal Dopoguerra al 1980 si saranno pensionati. Perché si mantenga questo sottile equilibrio sarà però indispensabile intervenire in maniera stabile e duratura, tenendo conto di alcuni principi fondamentali”. Per esempio, le età di pensionamento, attualmente tra le più basse d’Europa (circa 63 anni l’età effettiva di uscita dal lavoro in Italia nonostante un’aspettativa di vita tra le più elevate a livello mondiale), dovranno gradualmente aumentare, evitando il ricorso ai pensionamenti anticipati.

Lo scenario

Dunque, anche nel 2025 la pensione di vecchiaia resterà salda a 67 anni di età e 20 di contributi. Mentre per andare a riposo con l’anzianità la legge continuerà a imporre 42 anni di contributi. Stop, come detto, a Quota 41: le simulazioni dicono che questo impianto potrebbe reggere solo a patto che quegli anni di contributi vengano interamente ricalcolati con il sistema contributivo. Il che, dal momento che il sistema contributivo è stato introdotto nel 1996, si tradurrebbe in forti tagli degli assegni per chi punta al riposo anticipato. In media circa il 20 per cento di assegno in meno. Il governo sarà costretto a mantenere una linea di forte rigore.

 

  

Roma, 15 Aprile 2024

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