IL RICORDO

IL RICORDO

Domenico Russo, era di scorta al Generale Dalla Chiesa.

di Lara Sirignano
Aveva solo quattro anni e non sapeva nulla della mafia e dei pericoli che correva suo padre, Domenico Russo, uno dei primi agenti di scorta a morire sotto il fuoco delle cosche. Fu il Tg della sera a dare a Dino la notizia che non l'avrebbe più rivisto. Il flash del telegiornale - uno dei pochissimi ricordi sopravvissuti a un processo di rimozione durato anni - e qualche immagine familiare sono tutto quello che Dino ha conservato. Per un tempo lunghissimo ha rifiutato la memoria di un padre conosciuto troppo poco. "Non ne volevo neppure sentir parlare", racconta. Ora ha 34 anni, è sposato e lavora alla Regione. E ha cominciato a far pace con un passato spezzato il 3 settembre del 1982, quando l'agente Domenico Russo, 31 anni, originario di Santa Maria Capua Vetere e in servizio all'ufficio scorte a Palermo, rimase vittima dell'agguato al generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Russo non morì subito. La sua agonia durò 12 giorni. Lasciò Dino, la madre, Filomena Rizzo, che aveva 26 anni, e un secondo figlio di due anni. "Ero piccolo - racconta - ma capii perfettamente cosa stava dicendo il conduttore del telegiornale. Cominciò da allora il processo di rimozione che mi sono portato avanti per molto tempo. In realtà mi sono reso conto solo dopo che rifiutavo di ripensare a quanto era accaduto. L'ho realizzato quando ho capito che non avere ricordi non era normale". Dino Russo e la sua famiglia hanno vissuto il loro dolore in silenzio. Senza mai apparire, senza un'intervista. "Abbiamo preferito tenere un profilo basso. Anzi - dice - è stata mia madre, noi eravamo troppo piccoli per scegliere, a volerlo". Non ha i rancori e i risentimenti di tanti familiari di vittime della mafia. Non ce l'ha con le istituzioni, si limita a notare che "nessuno, almeno fino a due o tre anni fa c'é stato accanto umanamente. Economicamente siamo stati aiutati, sì, ma il vero sostegno emotivo l'abbiamo avuto dai nostri familiari". Dino non lo dice con astio, e senza risentimento fa notare che, "anche se nessuno lo sa", il padre non morì il 3 settembre insieme al generale, ma 12 giorni dopo. "Per noi l'anniversario - dice - si celebra il 15. E fino a pochissimo tempo fa, non veniva nessuno alle nostra cerimonia. Da un po' al cimitero arrivano il questore o il prefetto". Attraverso i racconti della madre, che ora ha 56 anni e continua a lavorare - è una dipendente della Prefettura - Dino Russo si è piano piano avvicinato al padre. E da lei ha saputo anche del rapporto che l'agente aveva col prefetto Dalla Chiesa. "Il generale voleva solo lui - racconta - Erano diventati amici, avevano un legame stretto anche se si conoscevano in fondo solo da tre mesi. Cenavano insieme, mio padre lo seguiva ovunque". E anche se negli ultimi giorni Russo sentiva attorno a Dalla Chiesa un clima pesante, non l'ha lasciato solo. "Mia madre mi ha raccontato che era teso, nervoso - dice - Avvertiva il pericolo. Avevano anche richiesto un'auto blindata che non è mai arrivata. Ma di lasciare il prefetto non se l'é sentita". Filomena Rizzo, la vedova dell'agente, non si è mai risposata. "Aveva due figli piccoli- spiega - Credo non ci abbia neppure pensato". Come i suoi ragazzi è stata assunta usufruendo della legge che tutela i familiari delle vittime di mafia. Un aiuto importante che non ha sanato le ferite: "é un lutto che mi ha condizionato tanto - spiega Dino- Sono cresciuto diverso da come sarei stato se nulla fosse successo. Sono molto più duro". Cosa dirà a suo figlio del nonno? "Non lo so - risponde - Non ci ho pensato. Ho ancora molte difficoltà a parlarne".

fonte ANSA