EDITORIALE: NO all’aumento dell’età pensionabile

EDITORIALE: NO all’aumento dell’età pensionabile

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Sulla base dei nuovi dati, il governo cui compete la decisione, con decreto e senza alcuna discussione parlamentare, potrebbe fissare la nuova soglia dell’età pensionabile a 67 anni dal 2019, esattamente cinque mesi in più rispetto a quanto previsto oggi. Ciò premesso, penso che la vita dei cittadini non possa e non debba essere legata esclusivamente a numeri, dati statistici o economici, perché questo tipo d’impostazione sul piano oggettivo e concettuale annichilisce il valore dell’esistenza di ogni persona. Governo, Parlamento, parti sociali, mondo dell’impresa e dell’economia, devono lavorare per trovare soluzioni diverse rispetto all’innalzamento automatico dell’età pensionabile, il perverso sistema che è stato costruito deve essere corretto.
Il nostro sindacato ha già dichiarato la propria contrarietà a qualsiasi ipotesi di aumento dell’età pensionabile e, unitamente a tutto il mondo sindacale, da qualche tempo fa pressione sul mondo politico affinché sia modificato il meccanismo previsto dalla legge. Il tema di cui discutia-mo, fa emergere con chiarezza il preoccupante scenario per le giovani generazioni, considerati, tra l’altro, gli effetti nefasti dell’ultimo decennio, caratterizzato dalla gravissima crisi produttiva, eco-nomica, di sistema e valori.
Un quadro d’insieme che ha contribuito ad aggravare ulteriormente l’ingresso nel mondo del lavoro dei nostri giovani, i quali se sono fortunati trovano lavoro a 30 anni. Stando così le cose, in futuro si potrà andare in pensione a 73 anni, se si vorrà usufruire di una pensione che garantisca una sopravvivenza al limite della dignità. Infatti, per accedere alla pensione di anzianità rispetto a quella di vecchiaia, dal 2019 potrebbero essere necessari 43 anni e tre mesi di contributi per gli uomini e 42 anni e 3 mesi per le donne, conseguenza del meccanismo normativo che collega il diritto ad andare in pensione all'aumento dell'aspettativa di vita oltre i 65 anni.
Oggi per l'uscita anticipata dal mondo del lavoro, sono necessari 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 e 10 mesi per le donne, una follia specie per particolari categorie di lavori e professioni, tra cui la nostra. Il meccanismo di calcolo che fa riferimento alle variazioni della speranza di vita nell’ultimo triennio, è stato previsto dalla L.111/2011(*), dall’ultimo Governo Berlusconi – Lega.
Se il Governo applicherà l’automatismo senza nuovi approfondimenti e valutazioni, per an-dare in pensione in anticipo rispetto all’età di vecchiaia dal 2019 saranno necessari 43 anni e tre mesi di contributi per gli uomini e 42 anni e 3 mesi per le donne, effetto dei nuovi dati sulla speran-za di vita, l’aumento sarebbe di cinque mesi. Un quadro d’insieme assolutamente insostenibile per i lavoratori, sulle cui spalle non può gravare il peso degli errori, dell’incapacità e disfunzioni causate dalla decadenza morale e mala gestione della cosa pubblica, oltre che dal deprecabile profilo etico di molti protagonisti della vita economica e politica degli ultimi quarant’anni.

(*)Il meccanismo in questione è stato introdotto dalla manovra 2009 (art. 22ter, co. 2, D.L. 78/2009 conv. in L. 102/2009) ed è stato, poi, significativamente modificato, dapprima, dalla manovra economica 2010 (art. 12, co. 12bis, D.L. 78/2010 conv. in L.122/2010) e, poi, dalla manovra economica 2011 (art.18, co. 4, D.L. 98/2011 conv. in L. 111/2011). Il meccanismo sarebbe dovuto entrare in vigore nel 2015, ma è stato poi anticipato al 2013 (art. 18, co. 4, D.L. 98/2011 conv. in L.111/2011)


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